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al testo di Emilia Filocamo
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La domenica non ci appartiene: sai la domenica dei polli al forno in cremazione, la domenica dei pigiami che tardano a spogliare i manichini dei lavoratori -pausa- stop meritato, la domenica che la piazza è un ossobuco ed il sole il pio midollo sbrodolato oltre l'argine, fiumacciolo in pubertà -incontinenza, certi tabù gia superati. La domenica delle briciole sputate come forfora dalle tovaglie, del campanile aizzato, membro giraffa accanto alla pleura biancolina delle Chiese. Si sfuma bene il sugo e trema dalla plancia lo schizzo ai commensali. E tutta quella sonnolenta, blu lentezza che prende dopo le quindici tra il goal e la passeggiata, la spesa e i rimandati comandamenti al lunedì, e tutta quella forma che hanno i musi delle montagne prima dell'accalappio scaltro della sera, e tutta quella fila di formiche in orario all'altare ed al segno della pace. Tutte queste cose mai ci apparterranno finchè sarò quello che tu non hai. La domenica pulita come un gallinaio aspirato dalla chiocciatrice, marinato budello da rimpinzare con la pastiche di prezzemoli ed erbe in rugiadina, la domenica signorina corteggiata da corteggiare e con l'imene più avaro della cruna al filo. La domenica no, non ci conosce. O meglio sa di te che stai dove io arrivo solo col sogno: e mi ti immagino potente e fiero, bue sacro al suo rientrare, una casa semplice col cane arruffato, i fiori eccitati e la lavanda in circolo, ad alzarmi verso il cielo tipo ostia, ma arcobaleno e con pazienza assistere al mio miracolo. Io ad inglobarmi un altro te, fotocopietta ancora informe, il nome scelto insieme e di domenica. Domenica da sala parto, da campo, da pranzo, da sistemerò più tardi, da pomeriggio bava che risale lungo i vetri la gialla-scia-pigrizia. |
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